Recensioni

 ENCAUSTO: Il gioiello perduto e ritrovato

                Incontro con il maestro Michele Paternuosto

A Roma scendendo per via Cavour prima dei Fori Imperiali, a sinistra si incontra uno splendido vicolo nel Rione Monti cuore di Roma questo è via del Cardello già (vicus sandalarius) animato da ristoranti e locande, Antiquari e interessanti studi d’arte e designe il vicolo trasuda storia già dal nome e a pochi metri il Colosseo gli fa da sfondo.( Mary Beard, docente di materie classiche all’Università di Cambridge da un interessante accenno alle librerie di Roma Antica, ci presenta varie novità degne di nota. La Beard infatti spiega che “le librerie di Roma erano sistemate in certe strade particolari. Una di queste era il Vicus Sandalarius, non lontano dal Colosseo. Qui si potevano trovare gli esterni dei negozi tappezzati di annunci e nuvolette con i titoli di opere in cantiere, spesso arricchiti con alcune citazioni tratte dai libri del momento. Marziale, infatti, una volta disse a un amico di non avventurarsi all’interno, dal momento che qui si potevano leggere tutti i poeti sulle facciate delle porte.

  E’ in questo vicolo  che si trova il laboratorio del maestro Michele Paternuosto, autentico antico romano redivivo anche se di origini Sannitiche (Molise) riscopritore dell’antica tecnica pittorica l’Encausto, conosciuta e apprezzata dai romani, già nota ai greci e egiziani.

   Quando mi trovo al civico 21/b mi sembra di aver fatto un salto nel passato, si perché mi trovo di fronte al laboratorio che dalla vetrina si vedono dipinti che sembrano eseguiti venti secoli fa, il fascino delle sue opere deriva dalla tecnica pittorica che utilizza: l'Encausto .

Già, il nome è evocativo e contribuisce a coprire con un alone di mistero, questa millenaria tecnica che avvicina l'arte all'alchimia con le sue mescole e materiali difficili da dominare e con grande padronanza che artisti come Paternuosto devono avere sulla procedura tecnica ma soprattutto sulla materia principale che è la Cera.

Sono andato a trovarlo nel suo laboratorio, dove il maestro lavora e produce le sue opere.

L’accoglienza e  molto cordiale ed improntata a simpatica spontaneità, mi ha spinto ad affrontare immediatamente l’argomento.

 

  Maestro può spiegarmi quali sono le principali caratteristiche della pittura ad Encausto 

     Il significato della parola deriva dal latino ENCAUSTUS  (Bruciare fissare a fuoco,  indica anche una tecnica pittorica parietale e da cavalletto chiamata Encausto, ed i suoi principali componenti sono le cere e il fuoco.  Questa tecnica pittorica è la più bella e anche la più completa che l’uomo abbia praticato e mai superata. Dipingere ad Encausto significa quindi  fissare al supporto col il fuoco i colori mesticati con la cera  in tutti i loro passaggi e sovrapposizioni in modo tale che con la liquidi fazione della cera ingloba ogni singola particella di colore questo processo avviene tramite arnesi metallici scaldati al fuoco, detti Cauterii  muniti con manici di legno, questo processo è necessario per ottenere il meraviglioso risultato finale, e aggiungo la cosa più importante: l’Encausto non ingiallisce e non screpola fa uso dei più svariati supporti quali: intonaco fresco ancora molle composto di calce e sabbia, intonaco secco, legno, marmo, tela, carta, cotto ecc. al contrario di altre tecniche che usano supporti specifici e limitati , è questo in pratica il procedimento che differenzia l’Encausto da altre tecniche e delle pitture a cera.

Lei ha accennato alla etimologia latina del termine Encausto: questo vuol dire che questa pittura era già conosciuta nell’antichità?             

Infatti è proprio così: già Vitruvio I° secolo A.C. descrive l’uso della cera punica che, una volta fusa, doveva essere stemperata, mista ad olio e stesa a protezione delle pareti dipinte esposte all’aperto. Tale procedimento va distinto dalla vera e propria pittura ad Encausto dei tre procedimenti descrittaci da Plinio il Vecchio nella sua  Naturalis Historia. "Cera punica fit hoc modo: ventilatur sub dius saepius cera fulva: deinde fervet in aqua marina ex alto pedita, addito nitro. Indeligulis hauriunt florem, idest canditissima quaeque, transfunduntque in vas,  quod exiguum frigidae hebeat   et rursus marina decoquunt separatim.  Deinte vas ipsum aqua refrigerant, et cum hoc ter fecere, iuncea crate sub diu sicant sole lunaque: haec  enim candorem facit: et ne liquefaciat protegunt tenui  linteo: canditissima vero fit post insolationem, etiam num recocta. Punica medicinis  utilissima. Ricordandone l'uso che ne fecero i pittori greci:  Prassitele, Apelle, Pausias, Polignoto, Kydias ed altri grandi greci, dobbiamo però tenere presente che il seme di questa  tecnica  non è nata in Grecia o a Roma, ma prima ancora in Egitto (Colori e cera nel cofano di legno di Tutankhamon,        da A. Lucas, The Tomp of Tut Ankh Amen), a causa di  fattori  naturali adatti a favorire la nascita di questa grandissima tecnica  mentre  nei  paesi come la Grecia o l'Italia  rimaneva più difficile per mancanza di elementi necessari. Dalla valle del Nilo l'Encausto si espande in Grecia quindi a Roma. A Roma le pitture da cavalletto su tavole erano ricercatissime mentre l'Encausto  toccava la su massima fama   tanto che l'Imperatore Augusto fa murare due dipinti ad Encausto sulle pareti della Curia, l'Imperatore Tiberio per un dipinto su tavola di Parrhasios  < un Archi gallo>  avrebbe pagato sei milioni di Sesterzi, un cifra altissima(6.000.000 di Euro del 2012. Il pittore  Kydias che dipingeva a Encausto un suo quadro < gli Argonauti> l'oratore Ortenzio lo comprò per 144 mila sesterzi. Concludo che l'encausto era la tecnica pittorica più apprezzata e ricercata dell’epoca.

    La cera era , ed  è,  quindi   il primario componente per l'Encausto. Quali caratteristiche deve possedere?

"La cera d'api deve essere buona e  reperita in luoghi  specifici: quella di bosco e differente da quella di pianura a causa della flora , a questo proposito ho impiegato diversi anni prima che mi accorgevo che le cere non sono tutte uguali il caso ha voluto che mi imbattessi in cere provenienti dalla Magna Grecia e lì ho incominciato la ricerca delle cere,  bisogna evitare le cere commerciali meglio se  direttamente dall’apicoltore. Per mia esperienza i luoghi sono  in Magna Grecia:  Sila, Pollino, Taburno e paesi affacciati sul Mediterraneo, Grecia, Creta, Turchia buona lato mar Nero e Libano non ho esperienza per altri paesi come: Israele, Egitto, Libia, Tunisia ecc.

 

E cosa può dire dell’attrezzatura necessaria alla manipolazione? Si trova facilmente in commercio?

 

“Gli attrezzi si possono creare con facilità artigianalmente, occorrono delle semplici tazzine  da caffè o di terracotta smaltata una per ogni colore che si adopera.

Attrezzi in  ferro, detti Cauteri questi sono  di varie misure e dimensioni (sono  a forma di cazzuole o spatoline  partendo da circa 10 centimetri fino a ridursi a un centimetro anche meno) con manici in legno per evitare scottature, dal momento che si devono scaldare sul fuoco, poi ci sono gli attrezzi per gli intonaci e stucco romano, ma questi sono arnesi che adoperano comunemente i muratori stuccatori e sono: Filo a piombo, cazzuola, staggia, sparviero o Baculus, frattazzo di legno per sgrossare e stringere l'intonaco grossolano poi per lo stucco, infine serve una  spatola metallica rettangolare di circa10 x 20 centimetri con manico centrale e una spatola triangolare con manico di legno di circa 8/10 centimetri  per lucidare.

 

Vi sono quindi molti punti in comune con la tecnica dell’affresco  ?

 

“Non proprio: l’affresco è una tecnica spontanea e veloce, senza possibilità di ripensamenti o ritocchi a  giornata  finita, poi a  causa della causticità della calce non è possibile l’uso di tanti  colori ma  soltanto di un certo numero ristretto e specifici per l'affresco eliminando dalla tavolozza colori  come il Cinabro, Minio, Alizarina il nero avorio, che Apelle chiamò elefantino e tanti altri. Però alcuni di questi colori citati, sono presenti ancora oggi dopo 2000 mila anni sulle pareti delle  domus romane ancora in un buono stato  e brillanti, dopo aver subito anche altissime temperature con l'eruzione  del  Vesuvio sia a  Pompei che Ercolano e dintorni, li troviamo ancora in domus romane sparse per l'Impero , mentre non sono  presenti campiture di rosso Cinabro o nero avorio nelle opere dei nostri  affreschisti.

Questo perché la tecnica dell’Encausto oltre a essere una tecnica calma e riflessiva può essere ripresa  dopo giorni di interruzioni, adoperando anche come supporto   una parete d'intonaco fresco e ancora molle,  facendo uso di una vasta tavolozza di colori  compreso nero avorio e Cinabro come campitura e quei colori non compatibili con la calce.

Grande perdita dopo le invasioni barbariche, l'Encausto andò in disuso, per scomparire completamente come tecnica pittorica.

 

Possibile mai che nessuno dei grandi artisti che si susseguirono nei secoli seguenti provò a far rivivere questa tecnica?

 

 

“Dobbiamo considerare innanzi tutto dopo la caduta dell'Impero Romano  non c’era più traccia di questa tecnica e nemmeno di chi la praticasse, rimangono per fortuna dei scritti,  la “Naturalis Historia” di Plinio e “De Architectura” di  Vitruvio veri dizionari enciclopedici dell’epoca in cui si attingono interessanti argomenti sui materiali occorrenti per le pitture e supporti.

Si ricomincia a parlare dell'Encausto nel Rinascimento dopo la traduzione e pubblicazione in lingua italiana della "Naturalis Historia" di Plinio il Vecchio fatta dal Ghiberti a Firenze, naturalmente fu letta anche da Leonardo.

Ma accade che nel 1503 la signoria di Firenze decise di celebrare le vittorie di Anghiari e di Cascina con due affreschi da farsi a Palazzo Vecchio, nel Salone del Cinquecento. Il gonfaloniere  Pier Soderini incarica i due più grandi artisti di Firenze, Michelangelo e Leonardo fu proprio il più grande Leonardo che, incaricato di illustrare la battaglia di Anghiari, decise di far rivivere l’antica tecnica,  per sbalordire il rivale e  tutta Firenze, buttando cosi le fondamenta di un nuovo metodo di pittura parietale facendo esplodere una nuova tavolozza di colori nella scuola del mondo. Ce da dire  anche che Leonardo aveva bisogno dei  suoi tempi di meditazioni, riflessioni e ripensamenti, ciò che la tecnica dell'affresco non concede mentre  l'Encausto lo permette.

Leonardo parte per la grande avventura, prepara disegni e cartoni fa preparare l'intonaco e inizia l'opera su uno spazio 20 x 10 metri, terminato il dipinto Leonardo per asciugare l'opera e per  fondere i colori con la cera,  fece accendere grandi fuochi su dei bracieri  appesi al soffitto,  per poi farli scorrere su tutta la superfice dipinta .     Ma ecco l’imprevedibile: il fuoco fece sciogliere  cera e colori, compromettendo l’intera grande opera, Leonardo abbandonò. Oggi non abbiamo alcun ricordo tranne alcuni studi di Leonardo  e dei disegni della parte centrale della battaglia “La  lotta per lo stendardo” eseguito in copia da altri pittori.

 

 

Può darmi una sua opinione di che cosa serviva a Leonardo per evitare che lo sua opera si distruggesse

 

Ora, secondo la mia esperienza fatta  su dipinti eseguiti con la tecnica a Encausto direttamente sull'intonaco fresco,  l'acqua contenuta  nell'intonaco richiamata in superfice dal calore dei bracieri ha fatto da cuscinetto tra i colori caldi a cera e l'intonaco,  il dipinto è scivolato giù,  mentre se Leonardo avesse  sublimato i colori con i Cauteri centimetro per centimetro forse oggi possedevamo non solo l'opera ma anche una diversa scuola  di colori, in sostanza una vera esplosione rivoluzionaria di nuovi colori parietali pari è senza dubbio, superiori a quelli in uso dai romani.

 

 

Quindi Leonardo non era in possesso di una conoscenza completa della tecnica. Si può ben immaginare che dopo questo insuccesso che portò alla distruzione di un’opera che oggi sarebbe senz’altro annoverata fra i più grandi capolavori nessuno volle più tentare un simile esperimento. Ma quale fu, secondo lei, l’errore che commise Leonardo?

 

“Quel che è certo è che Leonardo ha sbagliato il procedimento: sicuramente non avrebbe dovuto  scaldare la parete, doveva  intervenire e lavorare con i Cauteri caldi di volta in volta sui colori. Abbiamo già detto che un buon trattamento ed una buona stesura della cera ne permette l’uso anche a temperature superiore ai 60 gradi ”.

 

Non ci furono più tentativi di far rivivere l’antica tecnica?

 

“L’encausto tornò ancora in auge due secoli più tardi, quando, dopo i primi scavi effettuati a Pompei, numerosi artisti affascinati  da quei colori che erano rimasti sepolti per tanti secoli, tentarono di riprodurne la stessa magia.

Addirittura l’Accademia di Francia indisse un concorso relativo all’argomento. Si ha notizia di un non meglio identificato conte Caylus che, nel 1755, realizzò un’opera con colore mescolato a cera e potassa che poi, debitamente riscaldato, fu steso su tavolo, anche essa riscaldata e ripassata poi con il pennello nel 1784 un abate Vincenzo Requeno, si produsse in un analogo tentativo.

Si sa anche di un Philipp Hackert che tentò di dipingere ad encausto la stanza da bagno del re di Napoli, e tanti altri ancora”.

 

Ed ora siamo giunti ai giorni nostri, fino a lei.

Ma come ha fatto, dopo che tanti altri avevano fallito, ad individuare il giusto procedimento?

 

“E’ stata  la mia grande  passione,  dettata anche dalla pratica quando da apprendista pittore formulavo mestiche mettendo insieme leganti, pigmenti e cariche con materie prime più spesso acquistate nei generi alimentari anziché nelle colorerie, poi ce da dire e la cosa  non guasta; sono stato  fortunato nella ricerca. Tutto inizia da quel giorno in cui, ancora ragazzo , mio padre  mi accompagnò per la prima volta a Pompei, nella villa dei Misteri  rimasi affascinato da quei colori magici. Studiando e poi soprattutto, provando e riprovando, a forza di rivisitare lontane alchimie, adoperando materie del tutto dimenticate: cere, resine, oli, colle,  materie non più adoperate per scopi pittorici perché superate dalla chimica ora dimenticati dai più ecco alcuni  nomi di antiche materie: resina bruzia, Sarcocolla, Sarcollina, Colofonia o pece greca, taura colla, latte di fico, Allume, aglio, Aceto, latte, farina, l'antico sapone di Aleppo o nero ecc. per non parlare dei colori che da un pigmento riuscivano a trasformarlo in diversi colori: giallo, arancio, rosso, marrone e in fine il nero.  poi ce il Guado, Reseda, Melagrana. Dopo tanta ricerca il destino ha voluto che io riuscissi dove tanti altri hanno avuto poca fortuna.

 

 

Vado via  da questo luogo magico, dopo aver avuto la sensazione di essere penetrato in un’altra dimensione, dove tempo e luogo non hanno più significato ed ancora sopraffatto dalle sensazioni che questo uomo dell’eternità ha saputo farmi provare introducendomi con grande perizia, ma con altrettanto grande modestia, in un mondo antico è incantato.

Ma c’è un grande cruccio che tormenta questo artista di altri tempi: me ne ha parlato con il cuore in mano, confidandomi la sua pena segreta.

“Il mio grande timore è che la tecnica dell’encausto possa scomparire insieme a me, poiché non ho discepoli ai quali poter trasmettere questa grande passione. Sarebbe bellissimo se si potesse aprire una scuola d’arte a Roma.

Ed è un vero peccato che l’uomo dell’encausto, dopo aver dedicato gran parte  della sua vita alla ricerca affannosa e diciamo anche costosa per questa ancora insuperata e meravigliosa tecnica che è l'Encausto non trovi in patria un giusto riconoscimento.

 

Giovanni Mascia,   Storico

MICHELE PATERNUOSTO MAESTRO DELL’ENCAUSTO

 

            di Costanzo Costantini

 

 

                                   MICHELE PATERNUOSTO è uno dei rari artisti odierni che dipingono

 

ancora ad encausto, ossia secondo la misteriosa tecnica che risale all’Egitto dei Faraoni. Il

termine deriva dal latino “encaustica”, che significa pittura a fuoco. Nota anche come pittura

pompeiana, consiste nel miscelare i colori nella cera d’api.  e fissarli a fuoco con appositi ferri detti 

o ”cauteri”o “cestri” Era nota già a Plinio il Vecchio, il quale nel libro XXI della sua.Naturalis

Historia scriveva: “Vi furono due tecniche per la pittura ad encausto: i “cera”, che era la tecnica

consueta, e il “cestro” o stilo, per il quale si usava l’avorio. Le due tecniche durarono finchè si

cominciarono a dipingere ad encausto le navi da guerra. Questo era il terzo procedimento. per cui si

scioglieva la cera al fuoco e si spargeva col pennello. Questo colore sulle navi non veniva attaccato

nè dal sole né dalla salsedine né dai venti”.

L’ex sovrintendente del Polo Museale di Roma, Claudio Strinati,.si è recato nello

studio di Michele Partenuosto in via del Cardello , presso il Colosseo, per rendersi conto dei

risultati del suo lavoro, dopodichè ha scritto :”Ho avuto modo di vedere alcune opere di Michele

Paternuosto, che con la sua tecnica , praticata dal I98O, dipinge su intonaco fresco o secco

composto di calce e sabbia, su legno, marmo, terracotta, avorio, etc., raggiungendo con questi

supporti  identici risultati cromatici, adoperando colori non incompatibili con l’affresco. A mio

giudizio, visti i risultati da lui conseguiti, direi che non si è lontani da un ritorno all’antica

conoscenza dell’encausto”.

Ma non è solo Claudio Strinati ad accreditare la validità dei risultati  raggiunti da

Michele Paternuosto; sono piu’d’uno gli esperti d’arte della stessa opinione.

Dice  il famoso  restauratore di quadri antichi, Pino Cellini:” Sin da tempi

immemorabili questa tecnica  pittorica ha affascinato geni del calibro di  Leonardo, Mantegna e

altri ancora, senza che questi fossero riusciti a farla  rivivere o quanto meno a  renderla nota, ma

Michele Paternuosto è riuscito a raggiungere un buon  risultato, come dimostrano i due suoi lavori

che ho avuto modo di vedere., uno su intonaco  fresco di calce e sabbia appena preparato, l’altro su

un supporto di legno; in tutti e due i casi ho potuto constatare che era identica non soltanto la

risultante cromatica ma anche la durezza. Perciò sono d’accordo con il professor Strinati che non

siamo lontani da un ritorno all’antica conoscenza dell’encausto”.

Dice il direttore del Museo Civico di Albano, Pino Chiarucci:”Michele  Paternuosto,

appassionato maestro che ho avuto il modo di conoscere e di apprezzare, unendo grande

competenza e professionalità allo spirito di ricerca., ha raggiunto nell’encausto risultati molto

interessanti”.  

Plinio il Vecchio ricorda che l’encausto era praticato da Apelle, il più grande pittore

dell’antichità., ritrattista personale di Alessandro Magno, da Prassitele e altri artisti greci, ma ignora

che questa tecnica non è nata in Grecia, bensì mille anni prima nell’Egitto dei Faraoni. Dalla  valle

del Nilo era emigrato in Grecia e dalla Grecia a Roma, dove Augusto aveva fatto murare due pitture

realizzate con questa tecnica nella Curia e Tiberio lo aveva fatto usare per il ritratto d’un giovane

pagando sei milioni di sesterzi. Pitture del genere arricchivano la Casa di Livia e la Domus Aurea di

Nerone . Con la fine dell’impero e l’arrivo dei barbari l’encausto era entrato in decadenza, come nel

frattempo era tramontato anche in Egitto, dove le ultime testimonianze erano date dagli affascinanti

volti di Al Fayum.

Dopo molto tempo.l’encausto era ricomparso prodigiosamente nella Firenze del

Rinascimento., quando, nel I5O3,  la Signoria aveva deciso di celebrare con due dipinti appositi, da

eseguirsi nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, su commissione del Gonfaloniere Piero

 

Soderini, le vtttoriedi Anghiari e di Cascina, ad opera dei due  massimi artisti dell’epoca, 

Michelangelo e Leonardo.

Leonardo aveva letto nella   prima traduzione in italiano di Lorenzo

Ghiberti , l’ autore delle Porte del Battistero, la Naturalis Historia di Plinio , e

per sbalordire il rivale Buonarroti e la Firenze artistica  nel dipingere La battaglia di Anghiari si era

servito della tecnica dell’encausto.  Ma il sommo genio  sarebbe incorso in qualche errore e avrebbe

abbandonato il suo esperimento. Dice Michele Paternuosto:” Come  è più che noto, Leonardo

attribuiva una grande importanza alle macchie che l’umidità forma sui muri, in quanto gli artisti

avrebbero potuto  trarvi spunto per vari dipinti, ma per asciugare le pareti del Salone dei

Cinquecento avrebbe  fatto uso di fuochi che avevano sciolto la cera e fatto colare i colori. Egli non

avrebbe dovuto scaldare le pareti ma i ferri. Se il fondo fosse stato preparato bene,  la cera non si

sarebbe mai sciolta. Negli encausti di Pompei aveva resistito sino a cento gradi, Inoltre la cera

doveva essere buona. Plinio scrive che andava immersa in acqua di mare, mescolata a lascivia e poi

esposta alla luna.  Forse Leonardo non aveva letto bene Plinio. Fatto sta che non vi sono dipinti ad

encausto nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio.

Nato nel I943  a Toro, nel Molise,  Michele Paternuosto proviene da un’antica

dinastia di artigiani e artisti: pittori, decoratori, restauratori, alcuni dei quali operanti già

nell’Ottocento.Dopo gli studi medi, frequenta a Campobasso le botteghe d’arte di Nago e Angelo

Fradipietro, quindi compie un viaggio che lo porta dapprima a Parigi poi ad Amburgo e poi

addirittura a Montreal, finchè non si stabilisce a Roma dove tuttora vive e lavora. Oltre che

all’encausto, si dedica ad altre tecniche artistiche, fra le quali la scagliola, l’affresco lucido, la

tempera a uovo, la doratura a bolo.

Ma l’encausto era nella sua mente, o nella sua immaginazione, sin

dall’adolescenza. E’ancora un ragazzo quando il padre lo conduce a visitare a Pompei la Villa dei

Misteri, una delle più portentose testimonianze pittoriche dell’antichità. Da allora lo studio

dell’encausto è diventato la sua grande passione. Sa ormai tutto di questa tecnica.e della sua magia

E’un gran piacere sentirlo raccontare del nero vite che nasce da sarmenti bruciati, del nero avorio

che Apelle chiamava elefantino, di resina bruciata, cerussa, cinabro, di colori da mescolare con lo

zafferano o con la melagrana che gli arabi usavano per tingere le pelli di giallo, di colori antichi

come l’armenio, l’indaco e  il pupurisso, che Plinio divideva in “austeri” e “floridi”

.Scrive il dantista Vittorio Sermonti:”Giacomo Leopardi sapeva degli antichi

molto di più del tantissimo che aveva letto nella biblioteca di suo  padre: perché sapeva  ‘ non per

ragione ma per sentimento ingenito’ , anche lui era stato antico.Da bambino Michele Paternuosto ha

visto con suo padre gli encausti di Pompei e per abnegazione ingenita si è accanito attraverso

decenni a scoprire il mistero di quella tecnica perduta tentando  di sperimentarla

e finendo per praticarla. Con la cocciutaggine, la diligenza, il genio artigianale del bambino che era,

e dell’antico che continua a essere”:

Scrive dal canto suo Ludovica Ripa di Meana:”Non ho mai visto nero più

splendente, più solare del nero negli encausti di Michele Paternuosto.un nero che sbuca dai millenni

per illuminare il nostro mondo ora, e con la bellezza consolarlo un po’”

Io avevo visto una sua  mostra di nella Galleria Agostiniana di Piazza del Popolo: Ne

ero rimasto così colpito, specialmente dal rosso cinabro e dalla magia delle figure, che gli avevo

offerto un bassorilievo di Manzù: in cambio di un suo dipinto

 

Ora di lui e dei suoi lavori si stanno interessandole gallerie e i musei di ogni parte del mondo.

Costanzo Costantini è critico d’arte del “Messaggero” e autore di libri  su.Giorgio de

Chirico, Igor Mitoraj, Renato Guttuso, Giacomo Manzù, Carlo Guarienti, Umberto Mastroanni.

ROMA 1/Agosto/ 2012

                                                     di Costanzo Costantini

POMERIUM

Nomina                               

  Michele Paternuosto a:

Summus Magister et mirabilia artifex Picturae igneae Bene  meruit.

Sommo maestro e meraviglioso artista di pittura con il  fuoco ben meritata

Dies NATALIS 2764 A.U.C.

Sin dai tempi immemorabili questa tecnica pittorica ha affascinato pittori, ricercatori e studiosi del calibro di LEONARDO, MANTEGNA ed altri ancora, senza che questi siano riusciti a farne rivivere la tecnica o quantomeno a renderla nota. 
Spinto da un profondo desiderio di conoscenza per quest’arte, nel 1989 ho conosciuto presso il mio studio di Roma, un artigiano decoratore, Michele Paternuosto, il quale ha raggiunto secondo la mia opinione un buon livello di tecnica, l’ho quindi incoraggiato ad attivarsi nuovamente affinché si adoperi per la divulgazione di questa raffinata tecnica.

 

Nell’aprile del 1999 ho avuto modo di vedere all’opera il maestro Michele Paternuosto che ha eseguito due lavori, uno su intonaco fresco di calce e sabbia appena preparato, e l’altro su un supporto di legno. 
In entrambi i casi ho potuto constatare che non soltanto la risultante cromatica è identica, ma anche la durezza, tant’è che una normale pressione esercitata con le unghie non riesce a scalfire i colori,contrariamente a quanto accade su una comune candela di cera.

 

Mi trovo perciò perfettamente d’accordo con il giudizio espresso dall’illustre prof. Claudio Strinati: “..non si è lontani da un ritorno all’antica conoscenza dell’encausto.”. Sarebbe pregiudizievole per l’arte e la cultura in generale, se le ricerche condotte da Michele Paternuosto cadessero nell’oblio. 
E’ pertanto auspicabile, che le autorità competenti appoggino iniziative volte ad organizzare manifestazioni per la promozione e divulgazione delle conoscenze acquisite………..

Prof. PICO CELLINI 

Amico e Restauratore Emerito

ROMA 1999 
“La bellezza trionfa con la cera colorata e costringe il pittore ad amare la sua opera dando una voce alla cera e una parola alla pittura” (Alessandro Severo, imperatore romano, 222-235 d.C.)

L’ Encausto è una pittura parietale e da cavalletto. Il termine deriva dal latino “encaustica” che significa pittura a fuoco. Si tratta di un’antica tecnica, già diffusa al tempo degli Egizi, dei Greci e dei Romani. Meglio nota come pittura pompeiana, fa uso di colori miscelati nella cera d’api e fissati e fuoco con appositi ferri detti “cauteri o cestri”.
Di questa tecnica non si sa molto, e poco si ricava dalle fonti classiche.
Ne parlano Plinio: “Cera punicafit hoc modo ventilatur sub die saepius cerafulva…” (lib. XXI cap. 49 “Naturalis Historia”), e Vitruvio nel “De Architectura”.


Di recente ho avuto modo di vedere alcune opere eseguite da Michele e Luciano Paternuosto, che con la loro tecnica, praticata sin dal 1980, dipingono su intonaco fresco o secco di calce e sabbia, su legno, marmo, terracotta, ecc…, raggiungendo con ognuno di questi supporti un identico risultato cromatico, adoperando colori non compatibili con l’affresco. A mio giudizio, e visti i risultati da loro raggiunti, direi che non si è lontani da un ritorno all’antica conoscenza dell’encausto.

 

ROMA 2000 
II lavoro di Michele Paternuosto sotto la denominazione di Morena Art, è un lavoro in cui la competenza artigianale e lo spirito della ricerca hanno trovato un interessante punto di equilibrio.

 Alla maniera di certi antichi che ci hanno lasciato insegnamenti preziosissimi inerenti alle tecniche artistiche, Paternuosto ha basato le sue indagini sulla esercitazione pratica e sulla verifica sperimentale delle deduzioni accumulate in molti anni di studi interessanti. 

II problema fondamentale che si è posto e quello relativo all’encausto e alle sue applicazioni.
Si tratta di una domanda che i ricercatori si sono posti da tantissimo tempo con risultati sovente contraddittori. 

Come era fatto veramente l’encausto?

Non e altro che una variante dell’affresco tradizionale, lucidato a cera dopo la stesura, come molti studiosi si sono indotti a credere, o una tecnica specifica applicabile sia alla pittura murale sia ad altri eventuali supporti in cui la cera e di fatto incorporata nella materia pittorica con procedimenti oggi non più recuperabili. 


Dietro a una questione del genere si sono affaticate menti assai sottili, senza mai giungere ad una soluzione definitiva.
Oggi si può dire che la dimostrazione elaborata da Paternuosto ha tutta la dignità e la forza di convincimento per dover esser presa in attenta considerazione da tutti coloro che hanno veramente a cuore il progresso degli studi e la corretta conoscenza delle tecniche antiche. 

Paternuosto ha potuto dimostrare come la tecnica dell’encausto sia in realtà ricostruibile, su qualunque supporto, partendo dall’idea di base dell’incorporazione della cera nel colore, col conseguente riscaldamento delle superfici dipinte attraverso strumenti metallici che, appunto riscaldati e applicati alla pittura provocano lo sciogliersi della cera all’interno della stesura e la sua stabilizzazione definitiva all’interno della pittura stessa con quell’effetto di brillantezza ed omogeneità assoluta dell’insieme della pellicola pittorica che al tatto si manifesta liscia e compatta e nella sostanza costituisce un’unita di materia di straordinario fascino e pregnanza luminosa.

Partendo da questo presupposto semplice ma di immediata comprensione, il nostro ricercatore ha sviluppato innumerevoli aspetti collaterali dello studio e li presenta adesso per sollecitare l’attenzione, la critica ed il dibattito dei conoscitori d’arte, animato da onesta dedizione al lavoro e da un’encomiabile moralita, cosi tipica per chi viene da una corretta tradizione artigiana e vuole esporsi al giudizio altrui con limpida coscienza ed apprezzabile discrezione.

 

LUGLIO 2006
Non ho altro merito, nei riguardi del maestro Paternuosto, se non quello dell’amicizia. 

Ci conosciamo da molti ani. Lui ebbe fiducia in me e io in lui e, e da allora, questo legame è rimasto forte e vivo. Io riconobbi subito in lui, e penso che oggi tutti lo riconosceranno, l’impegno e lo scrupolo del vero scopritore, colui , cioè, che crede nella propria ricerca e nelle capacità di investigazione senza alcuna presunzione ma anche senza falsa modestia. 

Mi colpì il procedimento seguito da Paternuosto nella sua attitudine a studiare il mondo antico, immune da qualunque pregiudizio. Il tema era ed è bellissimo perché riguarda uno dei grandi misteri (che mistero non lo è affatto) della tecnica artistica degli antichi: encausto. 

“Quanto è stato detto e scritto sull’argomento!” pensai quando ebbi l’occasione di avvicinarmi al lavoro di Paternuosto nella sua bottega. Mi accorsi, poi, che lui stesso lavorava come gli antichi e che non aveva alcun timore reverenziale verso chi ci ha preceduto. 

Aveva soltanto il giusto atteggiamento, misto di reverenza e fiducia, di riuscire a capire cosa accadde veramente al tempo dei romani, visto e considerato che quegli uomini erano come noi, non erano dotati di superpoteri ma avevano una competenza e una dedizione assolutamente straordinarie. Non voglio sovrappormi al caro maestro e mettermi a spiegare, quale sia stata la sua scoperta come egli l’abbia approfondita. FINE

Prof. CLAUDIO STRINATI 
Soprintendente per i Beni Artistici e Storici di Roma

ROMA2000
L’amico Michele Paternuosto si è impegnato da anni nello studio e nella realizzazione di una delle tecniche pittoriche più famose dell’antichità, l’encausto, diffuso nelle civiltà pittoriche egizia, greca e romana. 
Purtroppo di questa tecnica è andata persa nei secoli la conoscenza dei reali procedimenti tecnici per cui la sua attività, oltre ad avere una chiara valenza estetica, costituisce anche per l’archeologia un importante contributo sperimentale. 
Infatti Paternuosto ha potuto dimostrare come la tecnica dell’encausto sia in realtà ricostruibile non solo su supporti rigidi – come il legno ed il marmo – ma persino sull’intonaco fresco, ovvero intriso di acqua ed ancor molle, lasciando stupefatti quegli specialisti della pittura antica che, come me, ritenevano che la cera fosse respinta dall’acqua e pertanto non potesse funzionare da legante sui supporti ” a fresco”. 


L’amicizia ed il contatto con Paternuosto ha costituito quindi per me un ennesimo insegnamento, ovvero che la storia delle tecniche artistiche non vada ricostruita soltanto dai libri e dall’osservazione dei monumenti, ma anche dalla continua frequenza delle botteghe artistiche.

Prof. UMBERTO PAPPALARDO
Docente di Antichità Pompeiane ed Ercolanesi 
UNI. Federico II°   NAPOLI

ROMA 2005
L’encausto di Michele Paternuosto 

Giacomo Leopardi sapeva degli antichi molto più del tantissimo che aveva letto nella biblioteca di suo padre: perché sapeva <<non per ragione ma per sentimento ingenito>> che anche lui era antico. Da bambino Michele Paternuosto ha visto con suo padre gli encausti di Pompei; e non per ragione ma per abnegazione ingenita, si è accanito attraverso decenni a scoprire il mistero di quella tecnica perduta tentando di sperimentarla, e finendo per praticarla. Con la cocciutaggine, la diligenza, il genio artigianale del bambino che era, e dell’antico che continua ad essere.

Prof. VITTORIO SERMONTi

ROMA 2005
Non ho mai visto nero più splendente, più solare del nero negli encausti di Michele Paternuosto: un nero che sbuca dal nero dei millenni per illuminare il nostro mondo ora, qui, e con la bellezza consolarlo un pò.

Prof.ssa LUDOVICA RIPA DI MEANA

ROMA 2000
La mostra di Michele Paternuosto che il MUSEO CIVICO ALBANO (ROMA) ha voluto realizzare si prefigge di stimolare il dibattito scientifico sull’argomento, tramite questa proposta di archeologia sperimentale certamente valida sul piano tecnico, e di promuovere la conoscenza della pittura antica ed in particolare della tecnica ad “ENCAUSTO”. 
Mostre di pittura antica, come quella famosa sui ritratti del Fayyum, trovano qui ad Albano un’interessante ed affascinante appendice: la sperimentazione di un Maestro che si rivolge sia agli specialisti che ad un più vasto pubblico di curiosi e sopratutto di appassionati di Arte e Archeologia esponendosi coraggiosamente al giudizio della critica……….

Dr. PINO CHIARUCCI

Museo Civico di Albano  Roma

SABAUDIA (LT) 2006
L’artista:
Michele Paternuosto, giunge a Sabaudia e mostra tra i sobri portici del razionalismo, le tinte purpuree dell’encausto. Paternuosto frequenta da giovanissimo le botteghe d’arte dei maestri Nicola Rago e Angelo Fratipietro, decoratori e restauratori; è un’esperienza tra arte e artigianato che gli conferisce una spiccata manualità ed un gusto ricercato per 1’antico, qualità che lo portano negli anni “70 a cimentarsi con l’encausto, si, a dipingere con il fuoco. Oggi e considerato un maestro validissimo, uno degli artisti italiani più interessanti sotto il punto di vista della sperimentazione pittorica e dei materiali.

MARIA SOLE GALEAZZI
Latina Oggi.

SABAUDIA (LT) 2006
L’incontro con il maestro:
Via del Cardello, è una stradina nel cuore del Rione Monti.
E’ qui che ha il suo studio e lavora Michele Paternuosto, l’artista protagonista della “Magia dell’Encausto” La mostra che ArteOltre, con il Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del comune, di Sabaudia, Assessorato alla Cultura, ha curato ed allestito presso il Teatro del Gruppo Sportivo delle Fiamme Gialle, a Sabaudia.
Nella città del Razionalismo un evento che sa di antico e che propone, grazie alle opere che vi sono esposte, quella misteriosa tecnica pittorica che Paternuosto scopri da ragazzo visitando per la prima volta gli scavi di Pompei e che, con anni di ricerca e di studio, ha saputo riproporre un fascino che nei millenni resta immutato e che non mancherà di trasmettere emozioni a quanti avranno modo di soffermarsi davanti ai volti di uomini e donne, alle nature morte, agli scorci di pareti che scandiscono il percorso storico ed artistico della mostra.

FRANCESCA D’ORIANO 
Presidente ArteOltre Sabaudia